LA SOFFERENZA EMOTIVA. COSA LA DETERMINA E QUANDO SI MANTIENE

Nella pratica clinica una domanda che spesso i pazienti rivolgono al terapeuta è: “Perché sto così male?”.

Se il disagio emotivo può essere spiegato con la presenza di eventi negativi che le persone prima o poi nella vita sono costrette ad affrontare, la sofferenza patologica non è una conseguenza ineluttabile dell’evento negativo; infatti di fronte allo stesso evento (ad es. un lutto) alcune persone sviluppano disturbi emotivi, mentre altre recuperano il livello di funzionamento precedente.

La sofferenza emotiva indica che una rappresentazione cognitiva è in conflitto con i desideri e gli scopi dell’individuo. Come già affrontato in un precedente articolo (“L’illusione della scelta perfetta”), il nostro comportamento è orientato dai nostri scopi, che costituiscono il nostro sistema motivazionale, attraverso cui operiamo delle valutazioni e, quindi, delle scelte. Quando uno scopo personale rilevante (ad es. “Voglio costruire una famiglia”) è minacciato o compromesso (ad es. il fidanzato ci lascia) si produce sofferenza, che normalmente si risolve raggiungendo, ridefinendo o rinunciando allo scopo compromesso.

Dunque la compromissione di uno scopo produce sofferenza emotiva, ma non sofferenza psicopatologica; la sofferenza diventa patologica se è mantenuta nel tempo o è esagerata nell’intensità.

Che cosa determina questo? La non accettazione di quanto ci accade.

Torniamo ad Anna lasciata dal fidanzato un anno fa… Nonostante sia trascorso del tempo, Anna soffre molto e non riesce a svolgere le sue attività quotidiane, fatica ad andare al lavoro, si chiude in casa e non risponde alle telefonate degli amici, piange spesso. Questo accade perché Anna continua a considerare inaccettabile la perdita del fidanzato e le sue conseguenze (ad es. il fatto di non poter avere un figlio come desidera). Pur soffrendo, non rinuncia al suo scopo di avere il fidanzato e di costruire una famiglia con lui e non attua alcun tentativo efficace di soluzione.

Per cambiare e stare meglio, Anna dovrebbe prendere atto della compromissione del suo scopo, invece che continuare ad investire su di esso (che di fatto non ottiene), accettare l’abbandono e riorganizzarsi, “investendo” in altre direzioni (ad es. investire maggiormente sul lavoro, sulle amicizie, sulle proprie passioni…..). Se Anna non accetta la compromissione del suo scopo, si determina una situazione di iperinvestimento, ossia di insistenza su uno scopo di fatto compromesso o minacciato e la sofferenza patologica si mantiene.

 

                                                                                  Articolo scritto da: Roberta Marangoni

                                                                            Psicologa, Psicoterapeuta, Psicologa Forense

 

 

 

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