La violenza sulle donne da una prospettiva psicologica

La violenza degli uomini sulle donne è un argomento di inquietante quotidianità, le cronache settimanalmente riportano storie di donne uccise per mano maschile, nella maggior parte dei casi partner o ex partner.

Il rapporto Eures-ANSA evidenzia che nei primi sei mesi del 2013 sono state uccise in Italia 81 donne, di cui il 75% nel contesto familiare o affettivo, e che ogni giorno in Italia viene colpita da atti di violenza (fisica, verbale e psicologica) una donna ogni 12 secondi.

Secondo l’ISTAT una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima, nell’arco della propria vita, dell’aggressività di un uomo, e nel 63% dei casi alla violenza hanno assistito i figli.

La violenza maschile sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani, della quale il femminicidio è la manifestazione più estrema.

Scarpe contro la violenza sulle donne

Diverse sono le forme di violenza che un uomo può perpetrare:

a) La violenza fisica è quella più facilmente individuabile. Non riguarda solo l’aggressione fisica grave, che causa ferite richiedenti cure mediche di emergenza, ma anche ogni contatto fisico che mira a spaventare e a rendere la vittima soggetta al controllo dell’aggressore (spingere, strattonare, impedire di muovere trattenendo l’altro, rompere o danneggiare oggetti nella vicinanza della vittima, picchiare, prendere per il collo, schiaffeggiare, mordere, causare bruciature di sigarette, tirare calci, pugni, strappare i capelli, chiudere la donna in una stanza o fuori casa). Nel maltrattamento fisico la componente psicologica più pesante consiste nella imprevedibilità dell’aggressione, in quanto qualsiasi motivo può essere un pretesto scatenante; la vittima impiega di conseguenza ogni energia per evitare qualunque comportamento che potrebbe provocare una reazione aggressiva verbale o fisica del partner.

b) La violenza psicologica è date da una serie di atteggiamenti dell’uomo sia intimidatori e minacciosi (ricatti, insulti verbali, colpevolizzazioni), sia vessatori e denigratori (ridicolizzazioni, svalutazioni continue, denigrazione ed umiliazione), attuati sia pubblicamente sia privatamente. Fanno parte della violenza psicologica anche le tattiche di isolamento messe in atto dal partner (ad es. osteggiare/impedire alla compagna di frequentare i propri amici e familiari).

La donna che vive tali soprusi perde completamente la stima di sé, sviluppa insicurezza, paura, tanto da dover spesso necessitare in seguito di una terapia psicologica. Si tratta di una forma di violenza subdola, perché mira a combattere l’identità dell’altro ed a privarlo di ogni individualità, all’interno di un rapporto perverso di coppia i cui membri adottano posizioni complementari, uno aggressore e l’altro vittima. Il comportamento che la donna assume, per evitare la violenza, è di responsabilizzare eccessivamente sé stessa, di attivarsi per cercare di soddisfare tutti i compiti e le richieste che le vengono fatte dall’abusante, continuamente attenta a non scatenare la sua rabbia e a dimostrare la propria adeguatezza come partner e come madre.

c) La violenza economica è data da una serie di atteggiamenti volti ad impedire che il partner diventi o possa diventare economicamente indipendente, al fine di poter esercitare su di esso un controllo indiretto, ma estremamente efficace. Tra questi atteggiamenti rientrano, ad esempio, l’impedire la ricerca di un lavoro o del suo mantenimento, la privazione od il controllo dello stipendio, il controllo della gestione della vita quotidiana ed il mancato assolvimento degli impegni economici assunti con il matrimonio.

d) La violenza sessuale consiste nell’imporre rapporti sessuali o pratiche sessuali non desiderati. Può assumere diversi aspetti quali, ad esempio, il desiderio del partner di avere un rapporto sessuale dopo aver picchiato e/o umiliato la donna, la messa in atto dello stesso mediante la forza o mediante ricatti psicologici, l’imposizione di pratiche indesiderate, o di rapporti che implichino il far male fisicamente e/o psicologicamente.

Le ricerche criminologiche dimostrano che su 10 femminicidi, sette sono in media preceduti da altre forme di violenza nelle relazioni di intimità, dunque l’uccisione della donna non è che l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere psicologico, fisico o economico.

I media spesso, nel trattare le notizie di violenza sulle donne, adottano una inammissibile superficialità, attribuendo il comportamento dell’uomo ad un raptus, ossia ad un impulso improvviso e incontrollato, ed in tal modo “giustificandolo” (es. di titoli di cronaca: “Strangolata dal marito con un foulard. Raptus di gelosia per alcuni SMS”; “Raptus di gelosia, accoltella due donne”; “-Sono pentito, è stato un raptus-. La confessione del kosovaro al GIP”).

La storia delle donne uccise racconta però di maltrattamenti e/o violenze ricorrenti subite dai partner, di pedinamenti, di aggressioni verbali e fisiche, di vere e proprie persecuzioni, che durano negli anni, spesso denunciate alle forze dell’ordine, senza un esito positivo a breve termine.

Che cosa accade nella testa di questi uomini violenti?

Innanzitutto non c’è una “tipologia dell’uomo violento”, nella maggior parte dei casi si tratta di uomini, come riferisce Baldry (2005), che hanno una loro vita sociale normale, relazioni amicali e lavorative soddisfacenti, uomini insospettabili provenienti da diversi contesti socio-culturali. Alcuni di questi fanno uso abituale di alcol o di sostanze stupefacenti, ma ciò non spiega comunque i comportamenti violenti, che non cessano quando viene meno l’uso di sostanze. In alcuni casi il comportamento violento si riscontra in uomini affetti da un disturbo di personalità; Edwards et al. (2003) hanno dimostrato che vi è una percentuale più alta di disturbi antisociale e borderline nella popolazione degli uomini violenti verso le donne, disturbi importanti che andrebbero identificati ed affrontati con una psicoterapia.

La violenza nasce da un sentimento di helplessness, di fragilità, considerata inaccettabile, alla quale l’uomo cerca di resistere picchiando. Spesso queste persone sono cresciute in ambienti violenti, umiliate o maltrattate dalle figure di riferimento. Come evidenziato da Straus (1998), se un bambino assiste a violenza sistematica da parte di un genitore verso l’altro genitore o verso un fratello o se egli stesso subisce violenza, è più facile che poi utilizzi la violenza quando si trova in condizioni di stress. I bambini che assistono a conflitti familiari caratterizzati da alti livelli di aggressività espressa sono da tempo considerati vere e proprie vittime di maltrattamento (Documento Cismai, 2005), sia perché, in sé, il comportamento violento risulta traumatizzante, sia perché il genitore violento fallisce nel compito protettivo, non preservando i figli dall’esposizione alla propria violenza.

Le donne non devono illudersi di “cambiare” l’uomo violento con il proprio amore, devono invece prestare la massima attenzione a quei segnali che indicano la presenza di un potenziale rischio. Ogni segnale di violenza, anche il più piccolo (un pugno improvviso sul tavolo, una gelosia costante, …), non deve essere sottovalutato.

Bibliografia

Amann Gainotti, M. La violenza domestica. Comunicazione presentata alla Giornata di Studio “I Centri Antiviolenza a Roma e in Italia: prassi e ricerca” – 23 Febbraio 2007. Facoltà di Scienze della Formazione – Università di Roma Tre.

Baldry, A. C. (2005). Violenza di genere nelle relazioni di coppia: i centri antiviolenza come luogo di sostegno e di aiuto delle vittime, in: Amann Gainotti, M. – Pallini, S. (a cura di), La relazione con l’altro/a. Prospettive psicologiche, interculturali e di genere, p. 83-91, Atti della Giornata di studio del 17 marzo 2005, Quaderni n. 3, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Roma Tre, Roma.

Bartolomei, C. (a cura di) (2007). Analisi del comportamento maltrattante e delle tipologie di maltrattamento in famiglia. Psycheforum, Associazione di psicologia Giuridica e Forense.

CISMAI (documento), 2006. Requisiti minimi dei servizi che si occupano di maltrattamento e abuso, Prospettive sociali e sanitarie, 5, p. 19-20.

Edwards, D. W., Scott, C. L., Yarvis, R. M., Paizis, C. L., Panizzon, M. S. (2003). Impulsiveness, Impulsive Aggression, Personality Disorder, and Spousal Violence. Springer Publishing company.

Spinelli, B. (2008). Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale. Franco Angeli, Roma.

Straus, M. A. (1998). The controversy over domestic violence by women: a methodological theoretical and sociology of science analysis. Family Science Laboratory. University of New Hampshire, Durham.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *