Problemi psicologici, amore, a volte, non basta

L’amore a volte non basta a risolvere problemi, servono altri mezzi…

Leggendo la cronaca degli ultimi giorni, in particolare un  articolo che parlava di un grave disagio vissuto da una ragazza e risoltosi nel modo più tragico, il suicidio, sono stata colpita da una frase, in cui si diceva che la giovane, pur stando male, non era seguita da uno psicologo o da un medico, ma era circondata dall’amore della sua famiglia. L’amore dunque come cura, come medicina che allevia ogni sofferenza e permette di superare le difficoltà. Anche il cinema a volte vuol far credere che l’amore guarisce, per esempio in “Qualcosa è cambiato”, Jack Nicholson risolve il suo disturbo ossessivo-compulsivo nel momento in cui si innamora di Helen Hunt. La realtà ci dice però che l’amore dei familiari e degli amici, pur essendo molto importante, da solo non è sufficiente a risolvere un disagio psicologico.

Perchè l’amore che proviamo per un nostro caro non basta ad alleviare una sofferenza?

Le nostre reazioni emotive e il nostro comportamento sono determinati dal modo in cui interpretiamo gli eventi. Tutti noi cerchiamo di dare un senso a ciò che ci circonda e organizziamo l’esperienza per non essere sopraffatti dalla grande quantità di stimoli cui siamo sottoposti ogni giorno. Con il passare del tempo le varie interpretazioni portano ad alcune convinzioni, che possono essere più o meno aderenti alla realtà e più o meno funzionali al benessere della persona.

A volte tali convinzioni che abbiamo su noi stessi, sugli altri o sul mondo possono essere disfunzionali, cioè possono distorcere la realtà delle cose, attivarsi in modo rigido indipendentemente dal contesto, generare pensieri automatici negativi che producono sofferenza. Secondo il modello cognitivo, il pensiero disfunzionale è comune a tutti i disturbi psicologici ed è il responsabile del protrarsi delle emozioni dolorose e della sintomatologia della persona, in quanto in alcuni casi può portare allo sviluppo di circoli viziosi che mantengono la sofferenza nel tempo.

Inoltre le emozioni negative intense (es. tristezza, vergogna, colpa o ansia) possono essere così dolorose e invalidanti da interferire con la capacità della persona di pensare chiaramente alla soluzione del problema. E’ possibile alleviare e/o risolvere i problemi psicologici intervenendo sui pensieri automatici negativi e sugli schemi cognitivi disfunzionali, in modo da regolare le emozioni dolorose, interrompere i circoli viziosi che mantengono la sofferenza nel tempo e creare le condizioni per la soluzione del problema; ciò chiaramente può essere effettuato solo da uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale che, attraverso la terapia, modifica in modo profondo le convinzioni.

Quali sono le caratteristiche della terapia cognitiva?

  • La terapia cognitiva è fondata scientificamente: alcune ricerche condotte sia a livello nazionale che internazionale hanno dimostrato che, nella cura di molte patologie psichiatriche, la psicoterapia cognitiva ha un’efficacia maggiore o pari agli psicofarmaci. Inoltre, ancora paragonata agli psicofarmaci, la terapia cognitiva risulta essere più utile nella prevenzioni delle ricadute. Si precisa comunque che per alcuni disturbi (es. disturbo bipolare, psicosi) il trattamento farmacologico continua ad essere indispensabile.
  • La terapia cognitiva è orientata allo scopo: il terapeuta cognitivista interviene dapprima sui sintomi che generano maggiore sofferenza, poi sugli altri aspetti del disturbo.
  • Lo scopo della terapia è la risoluzione dei problemi attuali del paziente: il terapeuta focalizza la propria attenzione su ciò che nel presente contribuisce a mantenere la sofferenza; gli eventi passati e le esperienze infantili sono utilizzati come fonti d’informazioni circa l’origine e l’evoluzione dei sintomi.
  • La terapia cognitiva è basata sulla collaborazione attiva tra terapeuta e paziente per capire il problema e sviluppare delle strategie adeguate al padroneggiamento della sofferenza generata dal disturbo.
  • La terapia cognitiva mira a far diventare il paziente terapeuta di se stesso mediante la consapevolezza del proprio funzionamento mentale e la gestione della propria sofferenza.

L’acquisizione delle abilità di gestione delle emozioni dolorose permette alla persona di beneficiare del trattamento anche dopo la conclusione della terapia.

Dott.ssa Roberta Marangoni – Psicologa Psicoterapeuta

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