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Le conseguenze psicologiche del coronavirus

Viviamo in una società caratterizzata da individualismo, da ritmi incalzanti in nome della produttività, che ci tengono fuori casa la maggior parte della nostra giornata: il lavoro, la famiglia, le incombenze quotidiane, ma anche lo sport, gli amici, l’iperconnessione.

E ora improvvisamente tutto sembra essere l’opposto di quanto vissuto finora, un virus sconosciuto ci ha imposto di cambiare le nostre abitudini, di non uscire di casa, di non socializzare, di isolarci e guardare gli altri con sospetto. Ci viene dapprima chiesto e poi imposto di non uscire, non più aperitivi, passeggiate rilassanti, ma nemmeno il lavoro è più un posto sicuro, meglio dedicarsi allo smart working e chi non può farlo non lavora affatto.

Una settimana può anche essere considerata una vacanza, due cominciano a preoccupare e poi quanto durerà?

Questi cambiamenti delle nostre abitudini portano con sé delle conseguenze sul piano psicologico, di cui vedremo gli effetti maggiori nel lungo termine, in quanto possono permanere nel tempo, anche oltre il periodo di isolamento e ciò è più vero per coloro che stanno vivendo una vera e propria quarantena, perché ammalati o perché entrati in contatto con persone positive al virus.

La paura è in questo contesto funzionale, perché può determinare maggiore attenzione, per esempio nel rispettare i protocolli di igiene, come lavarsi le mani e indossare i dispositivi di protezione individuale, ma può diventare disfunzionale in coloro che hanno maggiori difficoltà a gestire l’ansia.

Quali sono gli elementi disturbanti in questa situazione?

– Innanzitutto la mancanza di libertà, la perdita delle proprie abitudini e l’incertezza degli eventi, che fanno perdere un senso di controllo di cui l’essere umano ha la necessità;

– un senso di noia e frustrazione, che accompagnano le nostre giornate e ci possono dare un senso di confusione;

le preoccupazione economiche, legate alla sospensione del lavoro;

lo stigma sociale, se ci si ritrova positivi al virus.

Ecco che possono comparire sintomi associabili allo stress post-traumatico, paura, nervosismo, irritabilità, disturbi del sonno, confusione, depressione e il ricorso a strategie disadattive di gestione del malessere come agiti impulsivi o abuso di alcol e sostanze.

Quali possibili soluzioni?

– Le informazioni in nostro possesso dovrebbero essere chiare e affidabili, altrimenti i pensieri catastrofici prendono il sopravvento e cadiamo in un pericoloso circolo vizioso di negatività;

– E’ utile rinforzare la comunicazione a distanza con la propria rete sociale, famigliare, amicale;

– E’ fondamentale strutturare la giornata, dividere i tempi e gli spazi in base a schemi e mantenere dei ritmi;

– Dare un senso a ciò che ci sta accadendo, per esempio dare evidenza al valore altruistico, pro sociale e di grande responsabilità che gli atteggiamenti di volontaria riduzione o esclusione dei contatti sociali da parte dei singoli meritano in condizione di emergenza sanitaria acuta;

– Garantire con facilità l’accesso a beni primari, come quelli alimentari, e a consulenze di supporto psicologico.

                                                                        Articolo scritto da Dott.ssa Roberta Marangoni

CHI HA PAURA DEL CORONAVIRUS?

In questi ultimi giorni nei media e nelle conversazioni tra persone, dai bambini agli anziani, il tema di cui si discute è uno: il coronavirus.

In Veneto e Lombardia, le regioni italiane in cui il virus è maggiormente diffuso, i supermercati e le farmacie sono stati presi d’assalto, i locali si sono svuotati, le attività scolastiche, ludiche e sportive sono state sospese. Ciò che non si arresta, anzi sembra aumentare sempre più in intensità, è la paura del virus, che si trasmette da persona a persona più facilmente del virus stesso.

Cos’è la paura?

La paura è un’emozione primaria che determina un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo, sia esso reale o immaginario. E’ un’emozione utile all’uomo, perchè funge da “campanello di allarme”, indicandogli che c’è qualcosa che non va, che è presente un problema.

Disturbo di Panico

La paura è sempre proporzionata alla reale pericolosità?

No, non sempre lo è. La percezione del rischio è influenzata dai nostri bias cognitivi, che sono costrutti fondati, al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie e che utilizziamo spesso per prendere decisioni in fretta e in modo “economico”, ossia senza fare troppa fatica.

Soffermiamoci, per esemplificare, su un dato interessante in ambito sanitario: la prima causa di morte nel mondo è data dalle cardiopatie e gli ictus ischemici (fonte OMS). Tra i fattori di rischio di queste malattie troviamo abitudini alimentari sbagliate, vita sedentaria, fumo, aspetti che possiamo facilmente riconoscere in molte persone. Le cardiopatie e gli ictus ischemici hanno causato 15,2 milioni di decessi nel 2016 e sono rimaste le principali cause di morte a livello globale negli ultimi 15 anni.

Ciononostante non si è mai verificato un allarme collettivo legato a tali malattie, pur essendo molti i soggetti potenzialmente a rischio.

Perchè il coronavirus fa tanta paura?

Ci sono alcuni aspetti legati alla notizia che portano a sovrastimare Il rischio di infezione:

  • si tratta di un virus nuovo, di cui finora non si conosceva l’esistenza e, proprio in quanto non conosciuto, viene avvertito come più pericoloso rispetto ai virus noti;
  • è diffuso vicino a noi: fin che il virus era presente in alcuni paesi asiatici destava attenzione, ma non paura. La percezione del rischio è maggiore quando riguarda noi stessi;
  • non ne abbiamo il controllo, si propaga tramite via aerea, per cui tutti siamo potenzialmente a rischio. Il rischio è sovrastimato quando non ne abbiamo il controllo.
  • se ne parla continuamente, nei media in primis, ma anche in qualsiasi ambiente, dal bar al posto di lavoro. Il rischio è percepito come maggiore, “più concreto”, quando se ne parla molto.

Come proteggerci dalla paura?

Oltre che dal virus, è bene che ci proteggiamo dalla paura del coronavirus. In che modo?

  • Innanzitutto informiamoci in modo corretto, facendo riferimento a fonti autorevoli (es. OMS, Ministero della Salute);
  • Informiamoci in modo “controllato”, leggendo le notizie 1-2 volte al giorno. Rimanere connessi a TV e telefoni alla ricerca costante dell’aggiornamento aumenta l’ansia.
  • Mettiamo in atto le misure precauzionali stabilite dal Ministero della Salute, senza ricorrere a misure supplementari inutili.
  • Un pò di ansia e preoccupazione è naturale che ci sia e va accettata, ma è fondamentale che essa non prenda il sopravvento, condizionando il nostro comportamento.

Articolo scritto da: Roberta Marangoni

Psicologa, Psicoterapeuta, Psicologa Forense

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L’utilizzo della WII con gli anziani

Pubblico l’abstract di un progetto innovativo e molto interessante, in fase di svolgimento presso la Residenza Anni Azzurri di Villadose (RO), ideato dalla Fisioterapista Sylwia Milczarczyk e integrato da me insieme alla collega Elisabetta Rizzo, per la parte di valutazione dello stato cognitivo e psicologico e del grado di soddisfazione.

Il progetto verrà presentato al IX CONVEGNO NAZIONALE di PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO che si terrà a Padova il 20 e 21 maggio 2016.

 

Residenza Anni Azzurri Sant’Anna: 

le tecnologie integrate nel contesto di vita.

Rizzo E., Marangoni R., Milczarczyk S. Residenza Anni Azzurri Sant’anna di Villadose (RO)

I recenti studi e le ricerche internazionali hanno dimostrato che l’utilizzo di nuove tecnologie, come la WII (console per videogiochi), nella riabilitazione neuromotoria, permette di mantenere/migliorare l’autonomia residua dell’anziano residente in struttura. Tali studi sanciscono che l’utilizzo di strumenti tecnologici migliora anche lo stato cognitivo ed emotivo.

Obiettivi: Gli obiettivi che ci si è posti sono: migliorare le funzioni motorie; incrementare l’autostima; favorire la socializzazione.

Metodo: I destinatari sono anziani con rischio di caduta, integrità cognitiva totale o parziale, condizioni di stabilità clinica, deambulanti e/o che necessitano di ausili. Sono stati utilizzati test di valutazione multidimensionale specifici: scale Barthel, Tinetti e Six minutes Walking Test per l’aspetto motorio, Geriatric Depression Scale per lo stato psicologico, Mini Mental State Examination per lo stato cognitivo globale; inoltre è stato creato uno strumento ad hoc per valutare il grado di soddisfazione. L’allenamento consiste in due incontri settimanali della durata di un’ora ciascuno per un periodo di tempo di cinque mesi.

Osservazioni: Il progetto è in fase di svolgimento, i dati preliminari hanno dato un riscontro positivo in termini di benessere psicologico; inoltre ci attendiamo che: 1) l’utilizzo della WII incrementi le abilità visuo/motorie e l’equilibrio; 2) l’apprendimento di nuove abilità legato all’utilizzo della console sia applicato nello svolgimento delle attività di vita quotidiana; 3) I punti 1 e 2 determinino un aumento dell’autostima, con maggiore spinta motivazionale nello svolgere una vita più attiva; 4) Il divertimento nel fare riabilitazione “giocando” faciliti la socializzazione e aumenti il benessere percepito.