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Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

Nella Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza voglio pubblicare una poesia di Gianni Rodari che parla di bambini che non sanno cosa voglia dire piangere.

Purtroppo guerra, povertà, violenza strappano l’infanzia a milioni di bambini. E ciò è vero non solo in Paesi a noi lontani: l’impoverimento causato dalla crisi economica in Italia ha determinato per molti bambini carenza di cure sanitarie adeguate, condizioni abitative non idonee, alimentazione non corretta.

I dati raccontano che sono troppi i bambini la cui infanzia è negata, ancora oggi.

 

LA PAROLA PIANGERE

Di Gianni Rodari

 

Un giorno tutti saremo felici.

Le lacrime, chi le ricorderà?

 

I bimbi scoveranno

nei vecchi libri

la parola “piangere”

e alla maestra in coro chiederanno:

“Signora, che vuol dire?

Non si riesce a capire”.

 

Sarà la maestra,

una bianca vecchia

con gli occhiali d’oro,

e dirà loro:

“Così e così”.

 

I bimbi lì per lì

non capiranno.

A casa, ci scommetto,

con una cipolla a fette

proveranno e riproveranno

a piangere per dispetto

e ci faranno un sacco di risate…

 

E un giorno tutti in fila,

andranno a visitare

il Museo delle lacrime:

io li vedo, leggeri e felici,

i fiori che ritrovano le radici.

 

Il Museo non sarà tanto triste:

non bisogna spaventare i bambini.

E poi, le lacrime di ieri

non faranno più male:

è diventato dolce il loro sale.

 

E la vecchia maestra narrerà:

“Le lacrime di una mamma senza pane…

le lacrime di un vecchio senza fuoco…

le lacrime di un operaio senza lavoro…

le lacrime di un negro frustato

perchè aveva la pelle scura…”

“E lui non disse nulla?”

“Ebbe paura?”

“Pianse una sola volta ma giurò:

una seconda volta

non piangerò”.

 

I bimbi di domani

rivedranno le lacrime

dei bimbi di ieri:

del bimbo scalzo,

del bimbo affamato,

del bimbo indifeso,

del bimbo offeso, colpito, umiliato…

 

Infine la maestra narrerà:

“Un giorno queste lacrime

diventarono un fiume travolgente,

lavarono la terra

da continente a continente,

si abbatterono come una cascata:

così, così la gioia fu conquistata”.

Le conseguenze psicologiche del coronavirus

Viviamo in una società caratterizzata da individualismo, da ritmi incalzanti in nome della produttività, che ci tengono fuori casa la maggior parte della nostra giornata: il lavoro, la famiglia, le incombenze quotidiane, ma anche lo sport, gli amici, l’iperconnessione.

E ora improvvisamente tutto sembra essere l’opposto di quanto vissuto finora, un virus sconosciuto ci ha imposto di cambiare le nostre abitudini, di non uscire di casa, di non socializzare, di isolarci e guardare gli altri con sospetto. Ci viene dapprima chiesto e poi imposto di non uscire, non più aperitivi, passeggiate rilassanti, ma nemmeno il lavoro è più un posto sicuro, meglio dedicarsi allo smart working e chi non può farlo non lavora affatto.

Una settimana può anche essere considerata una vacanza, due cominciano a preoccupare e poi quanto durerà?

Questi cambiamenti delle nostre abitudini portano con sé delle conseguenze sul piano psicologico, di cui vedremo gli effetti maggiori nel lungo termine, in quanto possono permanere nel tempo, anche oltre il periodo di isolamento e ciò è più vero per coloro che stanno vivendo una vera e propria quarantena, perché ammalati o perché entrati in contatto con persone positive al virus.

La paura è in questo contesto funzionale, perché può determinare maggiore attenzione, per esempio nel rispettare i protocolli di igiene, come lavarsi le mani e indossare i dispositivi di protezione individuale, ma può diventare disfunzionale in coloro che hanno maggiori difficoltà a gestire l’ansia.

Quali sono gli elementi disturbanti in questa situazione?

– Innanzitutto la mancanza di libertà, la perdita delle proprie abitudini e l’incertezza degli eventi, che fanno perdere un senso di controllo di cui l’essere umano ha la necessità;

– un senso di noia e frustrazione, che accompagnano le nostre giornate e ci possono dare un senso di confusione;

le preoccupazione economiche, legate alla sospensione del lavoro;

lo stigma sociale, se ci si ritrova positivi al virus.

Ecco che possono comparire sintomi associabili allo stress post-traumatico, paura, nervosismo, irritabilità, disturbi del sonno, confusione, depressione e il ricorso a strategie disadattive di gestione del malessere come agiti impulsivi o abuso di alcol e sostanze.

Quali possibili soluzioni?

– Le informazioni in nostro possesso dovrebbero essere chiare e affidabili, altrimenti i pensieri catastrofici prendono il sopravvento e cadiamo in un pericoloso circolo vizioso di negatività;

– E’ utile rinforzare la comunicazione a distanza con la propria rete sociale, famigliare, amicale;

– E’ fondamentale strutturare la giornata, dividere i tempi e gli spazi in base a schemi e mantenere dei ritmi;

– Dare un senso a ciò che ci sta accadendo, per esempio dare evidenza al valore altruistico, pro sociale e di grande responsabilità che gli atteggiamenti di volontaria riduzione o esclusione dei contatti sociali da parte dei singoli meritano in condizione di emergenza sanitaria acuta;

– Garantire con facilità l’accesso a beni primari, come quelli alimentari, e a consulenze di supporto psicologico.

                                                                        Articolo scritto da Dott.ssa Roberta Marangoni

CHI HA PAURA DEL CORONAVIRUS?

In questi ultimi giorni nei media e nelle conversazioni tra persone, dai bambini agli anziani, il tema di cui si discute è uno: il coronavirus.

In Veneto e Lombardia, le regioni italiane in cui il virus è maggiormente diffuso, i supermercati e le farmacie sono stati presi d’assalto, i locali si sono svuotati, le attività scolastiche, ludiche e sportive sono state sospese. Ciò che non si arresta, anzi sembra aumentare sempre più in intensità, è la paura del virus, che si trasmette da persona a persona più facilmente del virus stesso.

Cos’è la paura?

La paura è un’emozione primaria che determina un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo, sia esso reale o immaginario. E’ un’emozione utile all’uomo, perchè funge da “campanello di allarme”, indicandogli che c’è qualcosa che non va, che è presente un problema.

Disturbo di Panico

ansia, panico, psicosi collettiva

La paura è sempre proporzionata alla reale pericolosità?

No, non sempre lo è. La percezione del rischio è influenzata dai nostri bias cognitivi, che sono costrutti fondati, al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie e che utilizziamo spesso per prendere decisioni in fretta e in modo “economico”, ossia senza fare troppa fatica.

Soffermiamoci, per esemplificare, su un dato interessante in ambito sanitario: la prima causa di morte nel mondo è data dalle cardiopatie e gli ictus ischemici (fonte OMS). Tra i fattori di rischio di queste malattie troviamo abitudini alimentari sbagliate, vita sedentaria, fumo, aspetti che possiamo facilmente riconoscere in molte persone. Le cardiopatie e gli ictus ischemici hanno causato 15,2 milioni di decessi nel 2016 e sono rimaste le principali cause di morte a livello globale negli ultimi 15 anni.

Ciononostante non si è mai verificato un allarme collettivo legato a tali malattie, pur essendo molti i soggetti potenzialmente a rischio.

Perchè il coronavirus fa tanta paura?

Ci sono alcuni aspetti legati alla notizia che portano a sovrastimare Il rischio di infezione:

  • si tratta di un virus nuovo, di cui finora non si conosceva l’esistenza e, proprio in quanto non conosciuto, viene avvertito come più pericoloso rispetto ai virus noti;
  • è diffuso vicino a noi: fin che il virus era presente in alcuni paesi asiatici destava attenzione, ma non paura. La percezione del rischio è maggiore quando riguarda noi stessi;
  • non ne abbiamo il controllo, si propaga tramite via aerea, per cui tutti siamo potenzialmente a rischio. Il rischio è sovrastimato quando non ne abbiamo il controllo.
  • se ne parla continuamente, nei media in primis, ma anche in qualsiasi ambiente, dal bar al posto di lavoro. Il rischio è percepito come maggiore, “più concreto”, quando se ne parla molto.

Come proteggerci dalla paura?

Oltre che dal virus, è bene che ci proteggiamo dalla paura del coronavirus. In che modo?

  • Innanzitutto informiamoci in modo corretto, facendo riferimento a fonti autorevoli (es. OMS, Ministero della Salute);
  • Informiamoci in modo “controllato”, leggendo le notizie 1-2 volte al giorno. Rimanere connessi a TV e telefoni alla ricerca costante dell’aggiornamento aumenta l’ansia.
  • Mettiamo in atto le misure precauzionali stabilite dal Ministero della Salute, senza ricorrere a misure supplementari inutili.
  • Un pò di ansia e preoccupazione è naturale che ci sia e va accettata, ma è fondamentale che essa non prenda il sopravvento, condizionando il nostro comportamento.

Articolo scritto da: Roberta Marangoni

Psicologa, Psicoterapeuta, Psicologa Forense

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IL CARICO EMOTIVO DI CHI ASSISTE

Il caregiver è colui, più frequentemente colei, che “fornisce cure”, ossia accudisce chi ha subìto una diminuzione o perdita di autonomia, come accade nella demenza.

L’assistenza, che è quotidiana e occupa gran parte delle giornate, ha un suo “peso” percepito dal caregiver, che si traduce in un disagio psicologico caratterizzato da ansia, depressione e malessere fisico e in un carico soggettivo che investe gli aspetti sociali ed economici dell’assistenza. Si tratta di un concetto multidimensionale che si ripercuote in modo globale sulla qualità della vita delle persone che si occupano di un anziano.

Prendersi cura di un anziano con demenza è dunque un’attività difficile e destabilizzante.

E’ importante parlarne e capire come affrontarla, affinché chi assiste una persona malata non diventi essa stessa un malato.

L’Aussl 5 organizza un corso formativo rivolto ai caregiver di persone che soffrono di Alzheimer, il 6 novembre parlerò del carico emotivo di chi assiste.

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CHRISTMAS BLUES OVVERO “QUANDO PASSANO QUESTE FESTE”?

Tempo di feste natalizie, tempo di gioia e serenità……forse. In realtà questo periodo di festeggiamenti è vissuto da molte persone con grande stress: c’è la corsa ai regali (e magari qualche difficoltà economica); ci sono riunioni familiari dove possono essere presenti parenti che non si ha piacere di vedere oppure c’è l’assenza, enorme, di una persona importantissima (un genitore, un nonno); a fine anno si fa un bilancio dell’anno trascorso e, se è stato negativo, l’insoddisfazione si avverte in maniera più vivida proprio in questo periodo.

Ed ecco che ansia, tristezza, malinconia, anedonia fanno capolino e vengono vissuti come emozioni non in sintonia con il clima di festa e di gioia che ci circonda. Questo stato d’animo, oggetto di studio di alcune ricerche, viene definito “Christmas blues” o depressione natalizia e comporta il desiderio che la befana arrivi in fretta e porti via con sé tutte le feste.

In attesa della befana qualcosa nel frattempo si può fare per ridurre il malessere, in primis accettare le proprie emozioni e parlarne, se possibile, con una persona fidata; al contrario sforzarsi di apparire gioiosi quando non lo si è aumenta il livello di stress.

Si può dire qualche no a quegli eventi sociali in cui si sa che si incontreranno persone non gradite, dando invece maggior spazio alle riunioni familiari o amicali che fanno piacere.

Per allentare lo stress delle “mille cose da fare” è utile organizzarsi, preferibilmente con un po’ di anticipo e stabilire budget per gli acquisti.

Utile anche mantenere una certa routine, che serve a mantenere un contatto con la realtà quotidiana, senza lasciarsi fagocitare dai ritmi serrati delle feste, che possono acuire il senso di solitudine e di estraneazione tipico del Christmas blues.

Se l’anno trascorso non è stato positivo, rimuginarci su non serve a nulla, se non ad amplificare il malessere e la frustrazione. Più efficace invece vivere il “qui ed ora”, godendo delle persone, delle cose e delle situazioni che ci circondano e di cui non riusciremmo a godere appieno se ci lasciassimo trasportare dai nostri pensieri del passato (ciò che abbiamo perduto) o dalle ansie per il futuro (quel che potrebbe accadere).

E se, passate le feste, il Christmas blues non vi lascia, è il caso di consultare un esperto, che aiuti a comprendere le cause di tale depressione e guidi la messa in atto di efficaci strategie per superarla.

                                                          Articolo scritto da: Roberta Marangoni

                                                     Psicologa, Psicoterapeuta, Psicologa Forense